Dopo ben 790 giorni, a fine marzo, lo stato di emergenza (quello per il Covid 19) giunge al capolinea e si dovrebbe formalmente tornare alla normalità. Quante volte, negli ultimi due anni, ci siano sentiti dire e ci siamo ripetuti questa parola, senza arrivare a capire quale ripercussione avrà domani questo nuovo inizio nella vita di tutti i giorni. Perché nel bene e nel male, questi anni “diversi” ci hanno lasciato un carico di dubbi e domande e un’unica certezza: quella che stiamo vivendo è una delle più grandi trasformazioni degli ultimi secoli. Se il Novecento si è aperto con milioni di contadini che dalle campagne si spostavano in città in cerca di migliori condizioni di vita, oggi avviene l’esatto contrario, visto che la tecnologia ci permette di svolgere le nostre mansioni ovunque, gli uffici si svuotano e molte persone cominciano a pensare di cambiare anche l’indirizzo e lasciare i centri urbani alla ricerca di luoghi più a misura d’uomo. Addio ai tragitti casa‑lavoro, niente più code nel traffico cittadino o corse affannose per non perdere il treno, lo spazio e il tempo, in questa nuova era hanno coordinate nuove e a volte anche nuovi orizzonti. La campagna e in generale i piccoli centri che costellano la nostra penisola, cominciano a essere sempre più attrattivi e non solo per i nomadi digitali, tanto da diventare strategici anche per il rilancio del Belpaese. A dimostrarlo il PNNR che contiene tra i suoi tanti capitoli anche il rilancio dei borghi attraverso il lavoro agile e la rete tecnologica. Quasi a decretare che il fenomeno delle Zoom Town (dal nome del programma usato per fare riunioni online) nato negli Stati Uniti sta varcando l’oceano per arrivare tra i nostri golfi e le nostre colline.
Anche se l’Italia resta ancora un Paese diviso sul piano digitale, oggi si aprono nuovi spazi per modelli organizzativi più elastici, più dinamici, che possono favorire la produttività e un’effettiva conciliazione fra vita e lavoro. Con molta probabilità continueremo a sentir parlare di smart working e di settimana corta, come in Belgio dove i lavoratori già possono lavorare un giorno in meno condensando le ore in modo tale da guadagnare un po’ di tempo libero in più. E intanto l’ambiente ringrazia, meno spostamenti certo non posso che fare un gran bene a un Paese che sta vivendo a causa degli eventi recenti la più grave crisi energetica dal 1973. Da qualche giorno anche la guerra è entrata senza bussare alle nostre porte, aggiungendo paura all’incertezza. Una variabile crudele e difficile da analizzare che tra le altre cose ci costringe a rimandare i progetti per la transizione energetica e a ricorrere nuovamente al famigerato carbone. Si riaffacciano i carri armati, i colpi di artiglieria, i bombardamenti aerei. E tutto questo dopo due anni di pandemia. È il secolo breve che torna e che come uno spettro si aggira nuovamente per l’Europa. Su questo numero troverete un dialogo aperto con Alfonso Femia dove l’architetto ci invita alla responsabilità e alla generosità. Due parole fondamentali nella progettazione a cui oggi vorremmo aggiungerne un’altra: speranza. Perché finalmente il Salone del mobile si avvicina ed è arrivato il momento di uscire e scrivere di nuovo il futuro per tornare, come diceva Antonio Gramsci, a fare la storia.